Michael Huffman spiega come gli animali si autocurano
Michael Huffman, insegnante del Primate Research Institute dell’Università di Kyoto, è stato uno dei primi a scoprire e spiegare come gli animali si curano senza bisogno di medicinali. Il docente sarà ospite del Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino il 28 ottobre e del Festival della Scienza di Genova il 30 ottobre. In occasione della trasferta italiana, Huffman è stato intervistato dal quotidiano La Stampa ed ha spiegato come gli animali hanno trovato rimedi naturali per i loro problemi di salute: “Alcune piante producono i metaboliti secondari, sostanze nocive di vario genere, che hanno il compito di scoraggiare eventuali insetti ed erbivori predatori. Queste piante, spesso, manifestano la loro tossicità con un sapore amaro. Ma contemporaneamente ci sono gli animali, che hanno un’altra battaglia da vincere, quella contro parassiti, virus e batteri. E’ probabile che uno di loro, ammalato, abbia assaggiato per caso una pianta amara e tossica e ne abbia ottenuto un vantaggio. Da qui l’associazione tra pianta amara e guarigione è stato facile. In un test si è visto come siano in grado di associare tre diverse cure a tre diverse patologie indotte dagli sperimentatori. Significa che imparano a quale rimedio ricorrere a seconda del disagio fisico. Credo che chi impara a difendersi dai parassiti e dalle infezioni, grazie alla conoscenza degli effetti benefici di alcune piante, sia evolutivamente vincente. E il discorso vale non solo per scimpanzé e gorilla di cui mi occupo, ma anche per gli insetti. Alcune larve, quando sono infestate da parassiti, modificano i loro gusti e mangiano una pianta velenosa, che è un anche un antiparassitario”. Nell’intervista Huffman ha anche spiegato come ha iniziato a svolgere le sue ricerche in questo campo: “Vent’anni fa, osservando un gruppo di scimpanzé delle Montagne di Mahale, in Tanzania, notai che una femmina, Chausiki, restava separata dal gruppo, non rispondeva ai richiami del suo piccolo, dormiva quasi sempre e non mangiava. Poi, a fatica, si alzò e si fermò accanto a un cespuglio di Vernonia amygdalina, famosa per la sua tossicità. Prese un ramo e, tolta la corteccia, ne succhiò il midollo. Non avrei prestato molta attenzione a questo comportamento, se non fosse stata la mia guida, Mohamedi Seifu, a dirmi che per la sua tribù quella pianta era un medicinale usato per curarsi da infezioni, malaria, dissenteria amebica e anche per liberarsi dai parassiti. L’osservazione, unita al fatto che Chausiki si ristabilì in 24 ore, fu illuminante”.