Spettacolo di teatro comico giapponese Rakugo a Siena
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Locandina Rakugo
Quota di partecipazione: 15 Euro (12 Euro per i soci di IROHA, Studenti dell’Università per Stranieri)
E’ richiesta la prenotazione, posti limitati. Prenotazioni e contatti su: sushissestasera.wordpress.com, sushissestasera@gmail.com, Pagina Facebook SUSHIsse stasera?
Breve storia del teatro Rakugo
Il termine Rakugo è attestato per la prima volta nel 1787, ma si è diffuso soltanto durante l’epoca Meiji (1867–1912) ed è divenuto di uso comune nel XX secolo in epoca Shôwa (1926–1989). Il teatro Rakugo si è sviluppato in vari stili: shibaibanashi (“storie teatrali”), ongyokubanashi (“storie musicali”), kaidanbanashi (“storie di fantasmi”) e ninjôbanashi (“storie sentimentali”). In alcune di queste forme manca la battuta finale ochi, caratteristica del Rakugo originale. Non si sa esattamente quando il teatro Rakugo sia nato, mentre è chiaro che ha avuto origine presso i daimyo (feudatari) che ospitavano alla loro corte attori che li intrattenessero raccontando storie divertenti. Nell’epoca di Edo (1603–1867) i commercianti più ricchi (chonin) hanno iniziato ad apprezzare questa forma di teatro che così si è diffusa anche fra i non nobili ed è diventata sempre più popolare. Nel XVII secolo gli attori erano chiamati hanashika (“narratore di storie”), termine che corrisponde all’odierno rakugoka ( “persona che lascia cadere le parole”). L’usanza di concludere il monologo con una battuta forse deriva dai kobanashi, brevi racconti comici con battuta finale (ochi) molto amati fra XVII e XIX secolo, con personaggi del popolo come protagonisti. Fra gli interpreti del teatro Rakugo alcuni sono anche autori di storie: fra i più famosi rakugoka del passato, per esempio, Anrakuan Sakuden (1554–1642) creò più di mille storie riunite nella raccolta Seisuishô (“Risata per scacciare il sonno”, 1628); Tatekawa Enba (1743–1822) è invece autore di Rakugo rokugi (“I sei significati del Rakugo”). Come in molte altre arti tradizionali giapponesi, anche nel teatro Rakugo gli interpreti imparano direttamente dal proprio maestro, senza ricorrere a libri o manuali: ancora oggi tutto il repertorio viene tramandato oralmente di generazione in generazione; soltanto dopo molti anni di pratica l’allievo – se ne è degno – può ereditare il nome del maestro e diventare maestro a sua volta.