Riaperte le indagini su un campo di reclusione giapponese
In Giappone sono state riaperte le indagini relative al caso dell’Unità 731, ovvero quello che è considerato un probabile campo di reclusione, attivo nei primi decenni del Novecento, che ospitava cavie umane. Nell’area infatti vivevano più di 500 persone, curate bene e libere di dedicarsi alle attività sportive. Ma cosa c’era dietro questo centro di accoglienza? Sono in molti a pensare che questa gente venisse sottoposta ad esperimenti, come l’esposizione a circa 20.000 volt di energia elettrica, i test di congelamento, l’amputazione degli arti e così via. Le ricerche dell’Unità 731 erano guidate da Shiro Ishii, un alto ufficiale dell’esercito giapponese. Gli Stati Uniti hanno confiscato tutto il materiale trovato ed i membri dell’unità hanno ottenuto l’immunità nei processi alla fine della guerra. L’Unità era inoltre stata trasferita dal distretto di Kanda, nella periferia di Tokyo, a Pingfan, in Manciuria, nel momento in cui iniziarono a circolare i primi sospetti sull’attività svolta. Dal 1989 si è ricominciato a parlare di questi esperimenti. Ed oggi l’argomento torna alla ribalta perchè Toyo Ishii, donna di 88 anni che ha lavorato come infermiera nell’unità, ha confessato che “nel 1945, poco prima dell’arrivo degli americani, furono seppellite in fretta e furia tutte le prove incolpanti”. A questo punto le autorità dovranno cercare sottoterra i resti del laboratorio e delle cavie umane. (Fonte: Vogliosapere.org)